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 Lezioni Apprese di Mario Corcetto

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R I V I S U A L I Z Z A     A R G O M E N T O
Francesco Ospitiamo, con immenso piacere, sulle pagine di Irpino.it, l'ultimo scritto di Mario Corcetto dal titolo "Lezioni apprese"
La nostra è una terra soggetta a terremoti, infatti, essi si succedono con cadenza implacabile ogni trenta quarant'anni.
Siamo preparati per un evento simile?
E' quanto si chiede l'autore del testo.
http://www.irpino.it/mariocorcetto_lezioniapprese.htm


L'articolo è presente anche in CULTURA E TRADIZIONI. (pagine curate da Alfonso Caccese)
http://www.irpino.it/cultura/index.htm

amsorr Ho apprezzato particolarmente il lancio, purtroppo mi pare per ora con poca eco, dell'argomento "prevenzione per un terremoto" di Mario Corcetto.
Non c'è bisogno che nessuno di noi lo richiami alla mente degli altri, ma il terremoto è un visitatore abituale delle nostre terre che non aspetta di essere invitato e, con una cadenza più o meno regolare, viene a fare dei danni ai corpi e alle anime. L'ultima volta che si dimostrò infuriato, lo ricordate?, fu il 23 novembre 1980. E quella volta i morti furono tremila e oltre.
Non ho né la competenza né la voglia di esaminare criticamente le raccomandazioni di Corcetto, ma approfitto del suo intervento per offrire brevemente il racconto della mia esperienza fatta come soccorritore volontario nel potentino dopo il sisma dell'Ottanta. Chissà che nel mio resoconto non vi siano delle informazioni utili anche per gli altri? Dopo quell'esperienza è inutile che dica che diventai di colpo un'altra persona. Fu come andare in guerra.

Ero arrivato a Potenza non ricordo se il terzo o quarto giorno dopo il terremoto, ospite a bordo e responsabile del carico di un camion di due padroncini siciliani, i quali di ritorno dal Piemonte si erano fermati a Bologna offrendosi di portare mezzi di soccorso nell'area colpita. Alla fine di un travagliato viaggio (ingorghi stradali, difficoltà di rifornimento di carburante, soste al freddo, ecc.) dopo una notte e un giorno giungemmo a Potenza dove non so come riuscimmo a convincere il comandante del campo di immagazzinamento(un generale dell'esercito)a scaricare tra i primi. Forse ci riuscimmo perché avevamo nel carico anche dei medicinali. Altri camion erano lì da un paio di giorni al "freddo e al gelo".
Quei due padroncini siciliani dissiparono per sempre i miei pregiudizi verso la gente di quella regione. Deviarono a loro spese almeno per 200 o 300 Km il loro tragitto, ritardando così il rientro a casa di almeno due o tre giorni, ed erano sempre con il sorriso sulle labbra.
Partito il mio camion, mi trovai perso a Potenza. Sentiii dire che gli emiliani (abitavo a Bologna e speravo di trovare dei conoscenti), i romagnoli e i toscani avevano o stavano erigendo un campo di soccorso a Baragiano Scalo, un altopiano di 600 o 700 m. sul livello del mare. Arrivai lì dopo una mezza giornata di cammino a piedi e vari passaggi con mezzi di fortuna e mi presentai alla tenda della direzione del campo. Erano già super organizzati, perché il grosso dei gruppi, ognuno comandato da un vigile del fuoco, aveva già "fatto" l'alluvione di Firenze, il Vajont, il Friuli, il Belice e altro.
Ogni mattina si partiva e si tornava a notte alta al campo. Il raccordo tra i gruppi era assicurato dai radioamatori, che costituivano allora l'avanguardia delle comunicazioni in zone disastrate.
Stringo il racconto perché voglio dire soltanto cose utili a questa discussione. Siccome ogni sera al ritorno dei gruppi ci ritrovavamo tutti nella tenda delle riunioni, si riferiva il lavoro fatto, si segnalavano le necessità delle varie zone, si abbozzavano statistiche e cose simili. Be' cari amici, finiva invariabilmente che scoppiassero delle polemiche causate dalle gelosie di competenza tirate fuori dagli amministratori pubblici locali. I gruppi non potevano costruire nessun programma coerente per rimediare ai danni, trasportare roulottes, erigere ospedali da campo, fornire bare, ecc. occuparsi insomma del soccorso alle persone muovendosi dove necessità chiamava fuori del reticolo amministrativo presidiato gelosamente ai confini da sindaci, vicesindaci, assessori, ecc. Tanto che, ben presto i volontari cominciarono ad operare senza informare gli amministratori del posto. Altra nota: tra i soccorritori non c'erano quasi volontari del posto, se non delle mosche bianche. Questo creò presto un certo razzismo nei volontari forestieri. Io avevo il mio daffare a spiegare a chi voleva ascoltarmi che i nostri conterranei intanto dovevano badare a salvare le proprie cose.
In una riunione memorabile, presieduta dall'assessore ai servizi sociali dell'Emilia-Romagna, era un certo Bersani destinato come sapete a diventare ministro, si litigò aspramente perché i volontari non ne potevano più di doversi limitare ad agire entro i confini amministrativi, per cui poteva capitare che dovessero trascorrere giorni a soccorrere un paese dove non c'erano stati danni, oltre a quelli provocati dai secoli e dalle mentalità familistiche paesane, e trascurare di spostarsi magari di un chilometro per soccorrere un paese raso al suolo, perché quel paese apparteneva a un'altra provinia o regione.
Il risultato fu che le squadre cominciarono a muoversi liberamente fregandosene degli amministratori del posto (salvo poche eccezioni).
Vi risparmio i ricordi di ciò che vedemmo a Balvano, Laviano e altri disgraziati posti, dove si disseppellivano morti vivi a nove dieci giorni dal sisma.
Quale succo voglio spremere da questi ricordi? Non si possono organizzare gruppi di prevenzione se non si lavora anche e soprattutto sulla mentalità della nostra gente. Se non si incoraggiano le formazioni di gruppi di volontari "veri" (senza compenso, cioè) nella società civile. Perciò, e concludo caro Corcetto, i nostri soccorritori di professione non sarebbero all'altezza finché anche da noi non si smettesse di aspettare che a fare tutto siano persone pagate dai nostri disastrati enti locali.
Ciao,
M. Sorrentino


Modificato da - amsorr il 14/12/2007 15:47:03

MC Caro Sorrentino, bisogna riconoscere, ad onor del vero, che l’associazione “Vita” è una felice realtà, che dimostra che non tutti i nostri giovani pensano solo al proprio particolare. Magari andrebbe incoraggiata e sostenuta ancora di più (per esempio, trovo oltremodo sciocco che si siano spesi dei soldi per pagare Martufello che, qualche anno, fa ha intrattenuto i montecalvesi con le sue battute di “bassa macelleria”: quei soldi potevano essere donati all’associazione ed avrebbero avuto certamente un ritorno concreto per la popolazione). Poi, ancora, vedo che attorno a Don Teodoro non mancano i giovani che regalano tempo ed energie ad iniziative sociali e culturali.
Quindi, non credo che la propensione al volontariato sia del tutto assente tra i nostri giovani: bisognerebbe solamente che qualcuno si prendesse la briga di incanalarla e di metterla in sistema. Il difficile, magari, sta proprio nell’individuare una figura carismatica che, disinteressatamente, si faccia carico di questo. Speriamo bene!
Un saluto, Mario CORCETTO


amsorr Caro Corcetto,
sono d'accordo con te sull'Associazione Vita e anche sui ragazzi e le ragazze che scrivono sulla rivista di San Pompilio. Delle volte per dare una scossa bisogna mettere in luce le manchevolezze, piuttosto che le scarse cose positive; scarse ma positive, cosa del resto che fa maggiormente onore a quelle poche persone che costituiscono con il loro esempio l'eccezione in un mare magnum di stagnazione.
Io del resto ho conosciuto, sia pure molto superficialmente, le ragazze dell'associazione Vita perché abitavo quest'estate accanto alla loro sede, e veramente erano persone che comunicavano voglia di fare e, cosa più importante, i loro anziani assistiti ne sono fieri.
Tanti cari auguri a tutti,
Mario Sorrentino

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